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Papà mio bello

 

Mario Martella, Cavaliere del Lavoro, Giusto fra le Nazioni, Medaglia d’Oro al Valore Civile, energetico, instancabile, vigile, combattivo, carismatico, era anche un uomo fortunato, protetto sempre da quella che lui chiamava la sua “Buona Stella”. Con il passare degli anni il suo viso sembrava poco invecchiare, i capelli s’imbiancavano, ma i lineamenti rimanevano giovanili, lo sguardo orgoglioso dell’imprenditore lungimirante, dell’Ammiraglio uso a comandare e a non abbandonare mai la sua nave.Iniziò sin da giovane a lavorare nell’azienda tipografica fondata dal padre Riccardo nel 1917.

Conseguita la Laurea in Economia e Commercio continuò l’attività tipografica imprenditoriale, creando attraverso un processo di sviluppo, passato per successive tappe, di specializzione un gruppo industriale all’avanguardia con vari stabilimenti dislocati sul territorio nazionale. Il suo destino fu miracolosamente guidato da quella “Buona Stella” a lui misteriosa, attraverso una moltitudine di peripezie vissute in particolare nel periodo bellico e post-bellico. Prima prigioniero delle truppe tedesche poi, con una rocambolesca fuga dal campo di concentramento, a piedi valicando

il confine tra Francia e Italia fra mille pericoli, si salvò anche dai rastrellamenti delle SS nella Capitale. È qui che nel corso di quei drammatici eventi nazisti, riuscì a salvare la famiglia degli amici ebrei. Un’autentica ricostruzione della memoria di tanti avvenimenti, la storia di un secolo di vita e di lavoro dalla fine della guerra ai tempi d’oggi. Un’anima doc, metafora dell’Italia come è stata e come sarebbe ancora bello che fosse: umile, costruttiva, generosa.

Una vita, tante vite

 

Tante vite, tante briciole di storie colte al volo, piccole storie all’apparenza banale che contengono profondità di significati e indicano come nell’esistenza di ognuno alberghi la speranza, la forza, il coraggio che le rendono grandi. È la prova che chi vive nelle case di riposo non vi alberga come un vecchio tronco d’albero in attesa di essere estirpato, ma si nutre di ricordi, di memorie di un passato che risorge dentro, ancora di foglioline verdi che spuntano persistenti e vogliose di vita dai rami e su queste ci si posano lievi e quasi trasparenti come farfalle ancora le emozioni, le rievocazioni mai sfuggite dalla mente e dal cuore.

La vita anche verso il suo tramonto ha ancora talvolta tutti i colori dell’arcobaleno, rimpianti, gioie, amarezze e commozioni che riemergono fortemente nella coscienza dell’esperienza vissuta e le trasfigurano in un alternarsi di distacco dalle cose, secondo la legge del tempo, ma anche in una percezione quasi riparativa delle sofferenze che si avviano al penetrante destino di gioia di una vecchiaia prevedibilmente serena.

Le cose che il bambino ama rimangono nel regno del suo cuore fino alla vecchiaia.
La cosa piú bella della vita é che la nostra anima rimanga ad aleggiare nei luoghi dove una volta giocavamo

Kahlin Gibran

Attese

 

 Fin dalla giovinezza sono sempre stata abituata a fare pellegrinaggi a Lourdes, se dovessi dire quante volte andai con i treni bianchi, non lo potrei certo ricordare: tante ed ogni volta era un’esperienza nuova, diversa, mai uguale alla precedente. Forse perché crescevo e portavo con me sempre un nuovo bagaglio di acquisizioni, stati d’animo, tempeste del cuore, soddisfazioni, delusioni, felicità dell’età giovanile.
Iniziai appena diplomata Infermiera Volontaria della Croce Rossa, a vent’anni quasi un tributo doveroso e spesso doloroso che ritenevo dover concedere a me stessa in un percorso di crescita e di sviluppo della mia personalità sempre votata alle esigenze e ai privilegi del volontariato che mi era stato inculcato naturalmente nell’animo.
A quel che ricordo, il viaggio in treno con l’UNITALSI era terribilmente faticoso, durava 36 ore, tutta la notte e la mattina successiva. I turni erano pesanti, ma non per noi Dame di Carità, sempre pronte all’accoglieza dei malati e alla loro continua assistenza: mai niente sembrava pesarci in quello spirito suggestivo di fratellanza che si creava, ancor prima della partenza del treno e che ci

 accomunavasino al suo festoso arrivo alla meta: Lourdes.Nelle quattro ore di riposo notturne, sembrava sprecato dormire e incuranti dello strapazzo fisico e della stanchezza morale, vegliavamo ancora sui malati, scambiandoci pensieri, riflessioni sul significato del nostro pellegrinaggio. A me, talvolta, proprio in quanto appena diplomata in assistenza infermieristica veniva affidato un reparto “attrezzati” che trasudava di dolore, ma la sofferenza sia fisica che spirituale veniva lenita dalla dolce attesa della meta e dai nostri rassicuranti sorrisi. Inconsapevolmente stralunate si arrivava alla stazione e da li partiva tutta l’organizzazione della sistemazione dei pellegrini e la nostra stessa. All’”Asile”, entro il recinto del Santuario venivano ospitati i malati più gravi, prelevati direttamente sui loro lettini dai Barellieri, gli altri in carrozzella negli immediati dintorni. Tutti trovavano il proprio posto ed erano sistemati dall’organizzazione francese sempre pronta e perfetta negli alloggi stabiliti e presto si trovavano a loro agio, ben accolti e acclimatati nel calore e nella comprensione reciproca.

 

Tra noi Dame di Carità e Fratelli Barellieri l’affiatamento era splendido, come se ci si conoscessimo nell’intimo da sempre ed eravamo sempre pronti ad aiutarci l’uno con l’altro, al bisogno, con uno sguardo, un gesto. Questo è quanto generalmente avveniva. Presa l’abitudine da ragazza, sempre in seguito frequentai Lourdes, da pellegrina, da turista, da malata, da persona che ancora oggi non sa quanta grazia ne ha sempre ricevuto nel corso della vita. Non è possibile dirlo.
Le grazie non sono sempre riconoscibili e spesso non sono neppure quelle che si richiedono, ma posso dire con certezza che il semplice andare a Lourdes è un viaggio di grazia e che l’amore bussa alla porta anche quando è sprangata. In quel santuario, ai piedi della Madonna, ritrovi te stessa e tutta l’energia di vita riposta in te. Questa è la mia esperienza che si allarga ad onda su milioni di esseri umani, questo è il mistero di Lourdes: si vive la Purificazione.

Carla Martella

Addio Core

 

L’ “ADDIO CORE” è l’affettuoso saluto di commiato che i romani usano quando si separano dalla persona amata nel quotidiano, è sinonimo di bontà e bellezza quando si scopre che,in fondo, nella nostra anima, affiora quel desiderio di abbracciare chi ci sta vicino senza distaccarsi mai da lui. L’autrice Carla Martella, ricorrendo a tale saluto, entra nel vivo senso di quel cuore aperto, libero,assoluto che riassume la sua vicenda di vita. Una vita ricca e copiosa di incontri, di intese, sensi e dissensi, dolori, gioie fulgide, entusiasmi, fortune ed esuberanza rigogliosa di avvenimenti che scandiscono l’evolversi della sua vita e di coloro che l’hanno vissuta con Lei. L’amore, la fede in Dio e negli altri, la devozione per la Madonna hanno sorretto la sua esistenza, ma, soprattutto, le hanno permesso di penetrare l’inedito dei sentimenti, anche quelli sovrannaturali. La sua intelligenza luminosa e capace di tradursi nella realtà l’ha guidata nello svolgimento delle opere di bene in luoghi dove tutto era 

necessario e dove bisognava portare aiuto per senso dell’amore, con un fervore provvido e prorompente. Seguendo tale traccia gettata come indistruttibile ponte verso l’infinito, Carla Martella ricostruisce tutta la sua vita familiare in cui l’amore per ognuno, è il fine di tutti i suoi consanguinei, a cominciare dal padre Mario. Un uomo indomito nel difendere i suoi affetti e temerario nel rischiare la vita per tutti, per renderla gioiosa e prospera grazie al volenteroso adoperarsi del suo cuore. La venerazione per la moglie, la generosità verso i figli, la fermezza nel perseguire i suoi doveri fanno di Lui un “giusto” fra i “giusti” di biblica memoria. Egli ha saputo riconoscere la mano religiosa del destino che lo ha sempre salvato e condotto sino al completo coronamento onorevole della sua riuscita e quella dei suoi cari. Egli ha saputo essere amico senza secondi fini ed il suo senso del bene l’ha reso ricco come pochi possono permettersi. Egli è l’esempio vivente di colui che attua i valori più veri non per convenzioni di potere o di

 

egoismo, ma solo per il Bene fine a se stesso. Carla ha saputo tradurre, in un linguaggio appropriato ed esemplare per la ricchezza del lessico, la capacità poetica, la linearità delle strutture sintattiche, un “modello nuovo” di composizione. Le parole di Carla trovano riscontro ideale nella presenza fotografica dei volti, dei paesaggi straordinari per la luce ed il nitore del tratto, per l’uso delle particolari sovraimpressioni che mutano nel loro apparire allineate con il racconto delle vite. Il mondo storico che li attornia è documentato dagli eventi, dalle date che contrassegnano il materiale fotografico, sempre presente.Le immagini emergono come sculture scolpite nella loro aggettanza e tutta l’opera figurativa è una perfetta opera d’arte di tipo “trasformista” per la ricchezza dei colori e per il movimento dell’immagine. Questo libro è un’opera di “vera arte”.

Prof.ssa MariaElisa Redaelli

 

Matermamma

 

Non mi è stata concessa dal Cielo di vivere l’esperienza della maternità e pur ritenendo che sia una tra le più complete che una donna possa avere, essendole insopprimibile questo ruolo, non mi sono mai chiesta quanto fossi portata. Eppure, già nelle miei iniziali esperienze di fotografa che ormai da anni vivo intensamente, entrarono per le prime nell’obiettivo con spontaneità madri da tutte le parti del mondo che ho visitato durante i miei reportage. Donne dolci e altezzose, sfuggenti e compiaciute, serene e miserevoli in atteggiamento naturale di protezione e di difesa, fanciulle e madonne, ingenue e false, drammatiche e beate: quel piccolo nucleo costituito da una donna e un bimbo, più di ogni altra cosa veniva calamitato dalla mia fotocamera che ne diventava partecipe e con piglio efficace rendeva sicuri i primi incerti,

ma tenaci passi nell’avventura della fotografia. Lo spessore che acquistarono fu tale che presto costituirono lo specifico per un lungo periodo della mia ricerca; ma se anche la fotografia è una creazione artistica, quello che io cercavo attraverso di essa era un frammento di partecipazione al prodotto più significativo e completo della creazione della natura, quello della vita di cui me ne concedevo così emotivamente ed indirettamente un sprazzo radioso. L’impulso di fotografare questo soggetto non sorgeva dunque da un estetica razionalizzata della visione della bellezza di una singola immagine, ma dall’interesse e dal bisogno di vivificare in me la filosofia della maternità così dolcemente o drammaticamente intesa e ovunque nel mondo riaffermata con la forza e tramandata attraverso i secoli più bui.

 

 Il valore del ruolo materno affiorava in sé attraverso l’immagine che coglievo con tensione emotiva e immediatezza: dall’inesprimibile del volto o di un gesto ecco saltare fuori la condizione sociale, l’eredità del passato o la rassegnazione, il pro del presente, il sogno del futuro. In qualunque parte della terra abbia trovato madri, dalla foresta amazzonica, al deserto mesopotamico, ho visto rappresentata la totalità della donna in espressioni qualificanti l’unicità di una missione in cui porre la propria identità. Depositaria del valore insopprimibile del dono della vita e specchio riflesso della coscienza dell’umanità, Matermamma rappresenta oggi un grido non fragile d’allarme o di gioia che non si può non udire.

Carla Martella

Passaggi

 

Sono andata scarpinando per molti anni in terre lontane con la macchina fotografica al collo e con l’animo appassionato di chi è osservatrice, esploratrice, fotografa. I miei “Passaggi” pressoché ininterrotti sono stati un continuo dialogo con me stessa. La passione dei viaggi e quella della fotografia l’ho avuta da sempre. Volevo conoscere il mondo, abbracciarlo, facendolo mio attraverso le immagini che mi suggeriva il cuore. Sentivo il mistero legato all’arte della fotografia, a quell’afferrare la visione di un istante e renderla solo mia per sempre. Ho fotografato a volte correndo con il fiatone in gola, perché non si può riprendere senza

precipitarsi da un punto all’altro la visione della realtà che ti sfugge ad ogni istante. Ho iniziato con la Grecia Classica, le terre numeriche, l’antico Egitto, ho continuato per vent’anni con i miei “Passaggi”, soprattutto in quelle terre ove le radici del passato s’intrecciano in un presente ancora carico di tradizioni, costumi, folclore e arte. Sono stata tra gli Inuit di Inuvic al Circolo Polare Artico, tra i cowboy del Texas, nelle riserve dei Navajo della California, tra gli Incas di Cuzco, gli Indios a Chichicastenango, gli Yomani della Foresta amazzonica, i Carioca a Rio de Janeiro,

 

 I curdi Mossul, tra le tribù dei Masai a quelle dei pigmei africani… dagli Yemeniti a Ladaki, dai Guru Sikh ai manaci buddisti,dai vecchi maoisti delle comuni cinesi ai giovani rivoluzionari dei piazza Tienammen… Sono felice di ciò che ho imparato a conoscere, sono gratificata da ciò che ho saputo e potuto vedere. I miei passaggi sentimentali nel mondo sono diventati anche una collana di calendari dal 1980 al 2005 fino ad un libro: “Passaggi”.

Carla Martella